Statua di fr. Daniele
PADRE DANIELE
 da Samarate
"A Deus louvado!"

Il martirio di padre Daniele da Samarate, lebbroso tra i lebbrosi, è certamente da considerare con rispetto, ma anche con attenzione alla concretezza. Non vogliamo coprirci il volto troppo velocemente di fronte all'uomo dei dolori, fuggire atterriti alla vista delle piaghe...

La lenta e inesorabile "consumazione" si protrae per lungo tempo, circa sedici anni, e si realizza con prove svariate; ma di vera "consumazione eucaristica" si tratta, di una Messa che arriva al suo culmine nel "rendimento di grazie".

Si tratta di "via crucis", di cammino appassionato del Signore Gesù e del suo servo fedele Daniele.

P. Daniele lebbroso nel XXV di SacerdozioI discreti accenni che cogliamo dal Diario, a questo proposito, ci rimettono sul sentiero del Figlio di Dio, del Servo sofferente (cfr. il libro del profeta Isaia: 52,13-53,12)

Mentre mi preparavo per la Messa, ho provato un così forte dolore che quasi svenivo. Non ho potuto, perciò, celebrare. (23 gennaio 1917).

È caduta l'unghia del dito mignolo della mano destra. A Deus louvado. Dio sia lodato. (4 giugno 1918).

È caduta l'unghia (la seconda) del dito indice della mano destra. Deo gratias.

(12 giugno 1918).

Vado avanti con la salute sempre più compromessa, offeso soprattutto negli occhi: sto quasi diventando cieco. Sia tutto per l'amore di Dio! Il mio Padre S. Francesco ha sofferto molto per la malattia di occhi. Perché non potrò allora soffrire anch'io? (2 luglio 1919).

Nel pomeriggio mi sono venuti dolori fortissimi alle gambe, come mai era successo.

Ho passato la notte molto male a causa degli intensi dolori alle gambe e alle braccia. Non ho potuto dormire. Anche il giorno l'ho passato molto male: tanta febbre e mal di gola.

Mi sono alzato molto fiacco e con febbre. Ho anche tentato di celebrare, ma non ce l'ho fatta a motivo della grande debolezza.

Con molto sacrificio sono riuscito a celebrare la Messa: quasi non arrivavo al termine. (10-13 aprile 1920).

Provo molti dolori negli arti e un certo malessere diffuso in tutto il corpo... Sono sempre più oppresso e condannato dalla malattia che va seguendo il suo cammino di distruzione della mia povera carcassa. (12 gennaio 1921).

Ma c'è un dolore acuto e profondo che nasce dall'amore per il "gregge" del Signore, nasce dall'impossibilità di lottare come in passato e... si risolve nel grido all'Amore di Dio, nell'abbandono alla sua misericordia.

Non ho celebrato nell'Ospizio a causa della molta pioggia... Il peggio è che questi poveri ammalati non hanno ben chiaro e non vogliono comprendere l'importanza dell'obbligo di ascoltare la Messa la domenica... Questo, purtroppo, non si verifica solo qui dentro...

Quanta ignoranza nelle cose di Dio e della propria salvezza!!!

Quando la mia malattia non era così opprimente e io potevo svolgere di più il mio ministero sacerdotale, c'era sempre un certo movimento religioso che consolava. Ma da quando il mio stato di salute è peggiorato e non ho più potuto vigilare sopra le povere pecorelle, queste si sono trovate in un certo abbandono. Per di più sono entrati qui alcuni lupi rapaci che sono andati facendo un male immenso, allontanando i buoni dalla pratica dei doveri cristiani. Questa è sempre stata la mia maggiore afflizione, soprattutto quando penso che il maggiore dei lupi è proprio un Sacerdote!

Sia tutto per vostro Amore. So che questa è un'altra prova che mi date, mio Dio (e quanto è dura) negli ultimi giorni della mia vita.

Miserere, Domine, animae sacerdotis tui [abbi pietà, Signore, del tuo sacerdote]!! (17 gennaio 1921).

Di stazione in stazione, la via crucis continua.

Mi sento molto prostrato. La malattia mi maltratta in tutte le forme con piaghe, infiammazioni, dolori di ogni specie. Mio Cuore di Gesù, tutto soffro per Vostro amore. Datemi sempre pazienza e gioia. Servite Domino in laetitia. [Servite il Signore nella gioia] Amen. (31 gennaio 1921).

Processione a Tuntum nel centenario della presenza dei cappucciniNella memoria di S. Teresa d'Avila, vorrebbe ottenere un ardente amore, come quello della "serafina del Carmelo": Avrei sicuramente più gioia nelle sofferenze e più pazienza nel sopportare la mia croce! Oh! gloriosa S. Teresa, ottenetemi una totale uniformità alla volontà di Dio, poiché il mio spirito si mostra pronto, ma il corpo è un po' debole!.

Ore di angoscia, angoscia quasi mortale che non dà requie, un certo sconforto che potrebbe sconfinare nella debolezza di spirito... lo fanno ansimare e gridare: Ah! Mio Dio, non permettetelo. (18-19 ottobre 1921).

Il mio stato di salute è a pezzi!

Oltre alla vista, sembra che stia perdendo anche la voce: ci sono giorni che sono molto rauco e penso che sia un effetto della malattia. Se così fosse, non c'è rimedio che tenga.

Dominus dedit, Dominus abstulit: sit nomen Domini benedictum [Il Signore ha dato, il Signore ha tolto: sia benedetto il nome del Signore].

Ho parlato molto durante la mia vita, ho parlato anche troppo; non è male che adesso sia ridotto al silenzio, benché forzato. Sopporterò contento questa prova per riparare le molte parole inutili, offensive e peccaminose che ho detto durante la mia vita.

O mio Dio, accendetemi con il fuoco del Vostro amore divino.

A motivo della malattia di Maria e di Julio, sono rimasto oggi senza medicazione. Deo gratias. (15 ottobre 1921).

Il ritornello che si ripete ad ogni nuova manifestazione della malattia e della sofferenza interiore è il ringraziamento, incredibile, ma vero! Il Deo gratias, Sia tutto per l'Amore di Dio, ...formulette della tradizione religiosa e cappuccina che si condensano in quella coniata da padre Daniele: A Deus louvado.

Dio sia lodato... per tutto quello che fa. È davvero il Padre che guida la storia, la sua storia, ogni momento... e non gli sfuggirà nulla! Perciò sia lodato, benedetto e ringraziato. È la fede che arriva al midollo.

Ma concedeteci ancora uno sguardo fraterno, un'indelebile fotografia di quest'uomo sempre più di Dio.

A due anni solo di distanza non lo riconoscevo più..., è padre Eliodoro che scrive da Belém. Povero padre! Un vero scheletro che vacilla, che a stento può fare alcuni passi; un ammasso di piaghe che lentamente lo va consumando. Parla ancora, ma con un filo di voce e con respiro affannoso, e quasi articolando parole. Ma le parole, sono parole di Dio, del cielo, di rassegnazione cristiana e religiosa.

"Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: "Ecco l'uomo!"." (Dal vangelo di Giovanni: 19,5).

Perciò non distoglieremo ora lo sguardo da quest'altro uomo, trasparenza del Figlio di Dio "crocifisso"...

Un vero scheletro che vacilla; non si regge in piedi; ha perduto la barba e parte dei capelli; ha le orecchie smozzicate, naso deforme; la faccia emaciata; ha perduto completamente la vista dell'occhio destro; il sinistro, pure va in putrefazione; solo vede come da uno spiraglio. Se cercate le dita, non incontrate se non l'ultima falange del pollice e dell'indice delle mani; di tutte le altre dita delle mani alcune falangi sono scomparse, altre stroppiate; conserva ancora tutte le dita dei piedi. Il resto del corpo, una sola piaga purulenta... quello che più si deve ammirare è la completa lucidezza della mente e la perfettissima intelligenza, che gli serve per conoscere e glorificare, come egli santamente dice, la misericordia di Dio.

La sua vita è un miracolo continuo. Povero Padre, se Lei lo vedesse, piangerebbe... e piangerebbero anche i sassi! Un vero martire!! (così la presentazione che ne fa padre Eliodoro).

E in queste condizioni ebbe grazia di celebrare il 25 marzo 1924 il suo 25° di ordinazione sacerdotale, con immenso giubilo, come scrive padre Michele che gli fece assistenza anche in quell'occasione.