PADRE DANIELEda Samarate
"Morador em Tucunduba"

Ed ecco Tucunduba: il lazzaretto, l'asilo degli infelici, il ritiro dei condannati, il grande ospedale del Parà che sorge a circa due chilometri dalla città.

Il campo, che raccoglie circa 300 ammalati, si estende su un'area di 1.110 metri. Al centro si trovano tre padiglioni, due per gli uomini e uno per le donne. Dal lato sinistro dell'infermeria femminile si stacca un largo corridoio che serve da cappella per le funzioni religiose. Disposte lateralmente circa 70 case (misere capanne di fango, legate da pali, fabbricate dagli stessi lebbrosi), un piccolo paese abitato da intere famiglie lebbrose.

I Bambini del lebrosario
Nell'interno: bosco, melma, terreno allagato, una palude insomma.

In questo ambiente venne ad abitare padre Daniele da Samarate, sacerdote e missionario cappuccino, lebbroso.

Il lebbrosario si presentò al Nostro come un ambiente difficile, ostile, immorale.

Padre Eliodoro raccoglie dalla voce di padre Daniele il ricordo di quell'impatto: Pensava, dice padre Daniele, di essere accolto con dimostrazioni di stima, di affetto. Quale illusione!... fui ricevuto, non come un Padre che soffrendo la stessa malattia dei figli, può comprendere più facilmente il bisogno di consolare i figli, ma come nemico, intruso scopritore delle loro magagne; e questo era il motivo per cui, lo seppi più tardi, si era tra loro combinato di non chiamarmi nemmeno per l'assistenza religiosa... Compresi subito la precaria situazione del campo spirituale, e come il demonio invidioso, imperava sui cuori di quei poveri infelici. Se io potevo fare un po' di bene era nascostamente, e per mezzo di una pietosa cristiana, pure malata, che sapendo di qualche caso grave tra i lebbrosi, protetta dalle ombre della notte, compariva fino al mio ritiro o casuccia di legno, e mi chiamava sommessamente senza farsi udire, avvisandomi della capanna dell'ammalato, che io poi cercavo e preparavo per il Cielo.
Pagina del Diario
Otto mesi circa durò questo stato di cose, finché a Dio piacendo, terminò il periodo di incertezze. E fu precisamente la notte del Santo Natale del 1914, nell'occasione della Messa Solenne di mezza notte, che potei entrare un poco nelle simpatie di quel povero popolo e così prendere di lui spiritualmente possesso. Immense le consolazioni che il Signore doveva concedermi!

Povero padre Daniele, è stato necessario un tempo di noviziato anche all'ingresso nel lebbrosario.

Dal Diario non trapela nulla di tutto questo, o meglio, forse ora riusciamo a capire meglio quella breve nota del 25 dicembre: Ho celebrato la Messa di mezzanotte nell'Ospizio dei lebbrosi. C'era tanta gente. Ho tenuto la predica.

Un tuffo al cuore per lui, un'immensa consolazione vedere quel povero popolo partecipare con rispetto e devozione alla Messa del Natale del Signore.

Il sacerdote aveva tra le mani, come nel cuore e negli occhi, il Figlio di Dio... e "niente altro"!

E qui padre Daniele lavorò per ben sette anni, fino a quando glielo permisero le forze fisiche e la lebbra non ebbe il sopravvento. Trasformò il lazzaretto in una vera oasi cristiana, testimonia padre Eliodoro.

Per descrivere l'attività di colui che ormai "abita stabilmente a Tucunduba" raccogliamo le parole di padre Daniele che nella relazione del 24 gennaio 1920, così scrive al padre Generale: Continuo sempre nella dolce solitudine del mio ritiro "S. Francisco" dedito alla cura pastorale di questi poveri infelici doppiamente lebbrosi, del corpo cioè e dell'anima, li dico tali, perché alcuni fra di loro sembrano veri indemoniati, che hanno in odio la religione e i suoi ministri. Oh! quanto, alle volte, è difficile e pesante il ministero sacerdotale tra di loro! Il sacerdote per ottenere qualche cosa, deve dissimulare, umiliarsi, supplicare, chiudere l'orecchio a insulti e improperi, e perdonare sempre. Tale stato d'animo loro è conseguenza della malattia che influisce sul sistema nervoso e li fa diventare indispettiti, collerici, nervosi e maleducati all'esterno.

Molti però, grazie a Dio, hanno rispetto e venerazione ed è con loro che il Signore mi dà delle consolazioni spirituali, poiché corrispondono abbastanza agli sforzi che faccio.

Esercito l'ufficio di cappellano con quell'assiduità che mi permette la mia malattia, avendo speciale cura degli ammalati gravi e dei fanciulli e ragazze che frequentano la scuola di catechismo con molte buone disposizioni e con grande frutto.

Sono circa 60; i poverini fanno vera compassione; abbandonati dai parenti, perché affetti dal terribile morbo! Sono molto assidui al catechismo, imparano non solamente dottrina cristiana, ma pure diversi canti religiosi, che eseguiscono con tale perizia da causare meraviglia e allo stesso tempo commozione ai visitanti.

Queste creaturine innocenti, col loro buon comportamento, sono il mio sollievo nelle ore di sofferenza, la mia consolazione nelle tribolazioni e amarezze prodotte dai malvagi; li reputo una vera benedizione del cielo.

Anche una fotografia ha fissato nell'immagine un gruppo di ragazzi attorno al loro Padre e non facciamo fatica ad immaginare chi tira l'abito, chi si aggrappa al cingolo, chi cerca la mano... Sono i bambini a riempire il cuore di padre Daniele. Gli davano coraggio e stimolo ad insistere nella sua missione, nonostante le pesanti delusioni.

Ci piace vederlo assediato, preceduto, inseguito da un nugolo di bambini in cappella, per le strade, ovunque si recasse!

A ragione padre Roberto da Castellanza, Superiore della Missione, scrive nella relazione annuale del 1918: Il nostro virtuosissimo padre Daniele... fa compassione... ma mi consolai allo scorgere la rassegnazione, la santa allegria, la pazienza di questo religioso che, quantunque ammalato, fa un bene immenso in mezzo ai lebbrosi, dei quali egli è, per così dire, la madre sollecita, il padre amoroso, il consigliere, l'Angelo consolatore.

Padre Daniele diventa il cappellano effettivo del lebbrosario, il punto di riferimento; addirittura in seguito ad uno sciopero lo vogliono nominare Amministratore dell'Ospizio: non cede alle pressioni, parla con i lebbrosi esortandoli alla calma, cerca di calmare i più infuriati contro l'amministrazione e sinteticamente appunta: Si sono acquietati. (Diario 23-26 marzo 1915).

È padre Daniele a rivelarci che il suo animo è lo stesso di sempre, zelante e coraggioso: Iddio mi ha voluto conservare ancora, forse per il bene di questi poveri infelici... l'organismo è sfasciato. È questa la ragione per cui non posso fare tutto quello che vorrei... nel mio ministero sacerdotale.

Non è terminata certamente la "lotta"; basti come esempio quanto accadde nel settembre 1921. Nel pomeriggio del giorno 3 il dott. Ratovisk mi ha consegnato una lettera che un ricoverato aveva scritto... In questa erano contenuti i peggiori insulti contro l'Amministrazione e particolarmente contro la mia povera persona, sostenendo che sono io l'ispiratore delle ribellioni in Lebbrosario, chiamandomi coi bei titoli di bandito, perfido, perverso, maledetto, vipera e altre amabilità.

Mi sembrava strano che non mi coinvolgessero e dire che da parecchi mesi neppure esco dalla mia casa!

È dal giorno che sono arrivato a Tucunduba che sto soffrendo i peggiori insulti e infamie da parte di squalificati che mi odiano unicamente perché sono sacerdote.

È l'eterna inimicizia del demonio contro Dio.

Per l'amore di Dio perdono di cuore al calunniatore e gli desidero tanto bene, quanto male egli aveva intenzione di farmi... Pazienza e coraggio!

Del resto le forze diminuiscono ogni giorno, ai dolori già noti se ne aggiungono di nuovi, padre Daniele non è più in grado di fare da cappellano e "deve" ritirarsi. Decide che il suo ultimo atto sia la Prima comunione dei ragazzi del catechismo. A casa sua i ragazzi fanno festa con cioccolata e dolci. Tutti sono contenti. Non crediamo casuale che questo avvenga il 19 marzo, festa di S. Giuseppe, anniversario dell'ordinazione sacerdotale di padre Daniele.

Per l'occasione troviamo nel Diario un consuntivo, illuminato da grande fede.

Con quest'atto ho chiuso il mio ministero parrocchiale nell'Ospizio, esercitato per quasi sette anni con molto profitto dei poveri ammalati che vivevano in un completo abbandono. Ho sempre raccolto qualche frutto spirituale e Dio mi ha dato buone consolazioni.

Ho sofferto anche molto per colpa di alcuni ricoverati malevoli che per le azioni e l'odio dimostrato verso le cose di Dio, si direbbe che sono indemoniati. Sono stato calunniato turpemente e perfino pubblicamente offeso e insultato da persone di bassa levatura, come mai avevo visto né avrei immaginato. Il Signore, però, mi ha dato la forza per sopportare tutto...

Perdono a tutti di buon cuore, come desidero che anche Dio perdoni i miei numerosi e grandi peccati. Da oggi voglio ritirarmi e dedicarmi al riposo di cui ho tanto bisogno. Il mio stato di salute già è molto deteriorato.

È anche ora di pensare solo a me per prepararmi alla morte, al grande viaggio verso l'eternità.

Ma quanto ancora non vorremmo lasciar passare sotto silenzio di questa vita tremenda e meravigliosa!