PADRE DANIELEda Samarate |
Il dinamismo della Colonia continua incessante,
la vita non si ferma e non rallenta la produzione. Anche il Direttore riprende
a lavorare con il consueto impegno.
I bollettini medici si fanno però più frequenti e segnalano
spesso peggioramenti.
Il 17 gennaio 1910: Per ordine dei Superiori sono andato ad abitare
nel Ritiro di S. Isidoro: potrò curarmi meglio.
Una residenza nelle vicinanze della Colonia diventa il luogo dal quale
dirige i lavori e ne progetta altri attraverso il telefono. Instancabile.
Distanza e separazione che certamente non sono senza sofferenza.
Gli è consentito di tornare ad abitare alla Colonia il
13 aprile 1912, ma solo per pochi mesi, ormai padre Daniele deve lasciare
il Prata.
È stata trovata una lettera del dicembre di questo stesso anno
indirizzata a padre Daniele. È di una ditta americana che gli sottopone
il preventivo del costo di alcune macchine per le officine della Colonia.
In essa si accenna pure al fatto che padre Daniele non sia più il
Direttore nei prossimi mesi, ma anche così i suoi pensieri, le sue
preoccupazioni sono per il benessere della Colonia. Fino all'ultimo!
Arriva il momento del commiato!
Con quella parsimonia che nasconde e svela i gradini del suo salire
verso quella piena "conformità" al volere di Dio prepara anche noi
alla partenza da quel suo luogo "desiderato giorno e notte".
Mi sono recato a Igarapé-Assù per celebrare e consumare
le Ostie consacrate. Mi sono accomiatato dagli amici...
Ho annunciato l'apertura delle scuole e... ho preso commiato dalla
popolazione...
Ho fatto il pagamento di tutti i lavoratori fino al 31 dicembre
1912...
Per l'ultima volta ho tenuto la conferenza alle Suore e alle ragazze.
Di sera i ragazzi hanno fatto una rappresentazione per la mia partenza,
dopo la quale gli Indios hanno dato vita a una loro danza. La popolazione
era presente.
"Deus omnia suaviter disponit" e non sarà un religioso a sottrarsi alla sua volontà.
Dio dispone tutto soavemente...
Non vogliamo più dimenticare quest'espressione che vede coniugata
la tenerezza di Dio con la sofferenza dell'uomo.
I Superiori lo trasferiscono nel Maranhão a São Luis,
nella speranza che il clima meno caldo e più secco gli sia di aiuto.
Ma già all'arrivo, il 31 marzo 1913, nel Diario troviamo scritto:
La mia salute va sempre più di male in peggio.
La casa di Anil è molto bella e povera. Deo gratias.
Si tratta di fondare una nuova parrocchia alla periferia della città
e padre Daniele incomincia e conduce con la sua solita dedizione anche
questo compito che l'obbedienza gli ha affidato.
Un incidente, un tremendo calcio in faccia ricevuto da un cavallo imbizzarrito,
lo rivela a tutti come lebbroso! Si aggiunge dolore a dolore, insieme a
cure materne delle Suore, visite e premure dei confratelli, delle famiglie.
E il Diario si fa estremamente scarno fino all'11 dicembre: Ho lasciato
Anil dove ho cercato di fare qualche cosa e mi sono imbarcato per il Parà...
Altro addio! Verso quale futuro e con quale speranza?
Quando il 13 dicembre giunge a Belém, in attesa di una definitiva
sistemazione, scrive: Ho trovato il Parà deserto, in convento
sono stato ricevuto come Dio volle... Sia fatta la sua volontà.
Bisogna bere il calice fino in fondo...
Parole di sapore schiettamente evangelico, che ci rimandano all'orto
degli ulivi, alla solitudine angosciata di Gesù in mezzo ai suoi
apostoli, alla preghiera appassionata del Figlio e alla sua più
completa disponibilità al Padre.
E anche padre Daniele stette nel giardino del convento, in una piccola
casuccia, separato dalla convivenza dei frati per timore del contagio,
e vi stette cantando; sì padre Ignazio da Ispra (in seguito lui
stesso lebbroso, lo annota nei suoi ricordi), cantando ed esercitando ancora
il ministero sacerdotale.
I Superiori decidono che ritorni a S. Isidoro nella Colonia del Prata,
ma il medico nega il permesso.
Arriviamo al 27 aprile 1914: Alle 5 del pomeriggio ho lasciato (oh!
Mio Dio quanto ho sofferto) il mio convento per venire ad abitare in questo
"Retiro" che la bontà dei miei Superiori e la generosità
del Governatore mi hanno preparato.
Sono venuti ad accompagnarmi Frei Ignazio e Maestro Antonio.
Tra i lebbrosi infatti doveva svolgere un apostolato ancora più
fecondo e meritorio, sia colla santità della vita, sia colla parola
ardente di missionario... e più coll'esempio di una rassegnazione
che ha del divino. Il Signore non gli risparmiò lotte spirituali,
prima di raccogliere il frutto.
Le parole di padre Eliodoro gettano uno sguardo luminoso sull'orizzonte
di Dio, ma quanto umano patire!
Lo vediamo ancora, il nostro uomo di Dio, baciare con profonda emozione
le mura e la porta del suo convento in quel pomeriggio di aprile prima
di avviarsi verso il lebbrosario di Tucunduba...
Egli andava esclamando: "Oh! Mura sante! Voi mi avete liberato da
tanti pericoli ed ora collo schianto nel cuore devo abbandonarvi!..." E
cadevano abbondanti lacrime dai suoi occhi. (Così ricorda padre
Roberto).
E mentre padre Daniele si avvia e a fatica nascondiamo le lacrime,
con padre Eliodoro sussurriamo: Disegni imperscrutabili del cielo! Adorabili
disposizioni del Signore! Quel Gesù benedetto che amò i lebbrosi,
da un istituto fiorente ove sono raccolti centinaia di indi, ne toglie
l'esperto Direttore; da un asilo, dove sono raccolti tanti figli, il Padre;
da una Colonia fiorentissima (Prata) la guida, l'anima, la forza operatrice
dalla quale tutto ha movimento e vitalità; dal Convento, il prudente
Superiore; dalla comunità, e santa compagnia dei fratelli missionari,
il fratello missionario, per chiuderlo, nella vigoria dei 37 anni in un
lazzaretto, isolato, abbandonato e solo compianto nella sua sventura! Mano
prodigiosa agli occhi della fede!
Ancora padre Eliodoro ci informa che i confratelli avevano pensato
di ricoverarlo nell'ospedale-lazzaretto di Pernambuco, servito dalle Suore
e da un Cappellano; ma padre Daniele, che conosceva troppo bene l'abbandono
spirituale degli infelici lebbrosi del Parà, chiese di essere ricoverato
qui nell'asilo di Tocunduba, unicamente nell'intento di impiegare la sua
attività a vantaggio spirituale di quelle anime abbandonate, mentre
si trovava in forze.